Discepolato nella chiesa

Compassione per i disabili e emarginati

Spazi e limiti nell’impegno sociale

Quest’articolo estratto da una predicazione di Franco Liotti a Poggio Ubertini ad Aprile 2007. Appare qui per gentile concessione del predicatore. Per mettersi in contatto con Franco, scrivi al suo indirizzo email.

In Marco 16:15-16 il Grande Mandato (Matteo 18:18-21) è espresso in maniera sintetica:

A) “Andate”, (come in Matteo)

B) “Per tutto il mondo” (nessun popolo escluso)

C) “Predicate l’Evangelo a ogni creatura” (includendo disabili, emarginati vari, barboni, zingari, delinquenti, tossicodipendenti, bambini, militari, lavoratori, studenti, imprenditori, senza escludere alcuna persona)

D) “Chi avrà creduto…battezzatelo, chi non avrà creduto sarà condannato”.

Questi passi indubbiamente sono alla base dell’evangelizzazione e sono anche quelli che forse telegraficamente ma incisivamente ci trasmettono (da parte del Signore) l’urgenza di annunciare a tutti l’Evangelo. Ma c’è un altro passo che vorrei segnalarvi e che naturalmente conoscete, è in Matteo 9:35-38.

“Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai. Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse».”

Questo passo ci offre uno spaccato di una giornata tipica di Gesù, infatti lo vediamo che andava in giro per città e villaggi predicando l’Evangelo (v. 35). Ma sempre questo versetto 35 ci fa vedere anche quello che potremmo definire il Suo impegno “sociale” verso i malati e i disabili che in questo caso esprime proprio nel guarire ogni malattia e infermità di chissà quante persone (vedi anche Giovanni 21:25).

Il Signore Gesù nel fare ciò che ha fatto (cioè nel predicare l’Evangelo, nello sfamare migliaia di persone, e nel guarire tanta gente da malattie e da infermità) era motivato da qualcosa che purtroppo (oggi) non è più molto comune: la compassione (v. 36). La Sua compassione e il Suo amore per un mondo perduto lo hanno indotto a fare ciò che ha fatto, cioè dare la sua vita in sacrificio al nostro posto.

Ma tornando alla compassione, essa che cos’è? “È il moto dell’anima che porta a soffrire dei mali altrui come se fossero i propri” (Diz. Garzanti della lingua italiana), ed è ovvio che una persona compassionevole – come lo è il Signore – non rimane indifferente dinanzi ai tanti problemi del mondo. Invece oggi la compassione purtroppo è ormai rara nella chiesa piuttosto imborghesita di oggi, chiesa che spesso pensa più che altro al proprio benessere (locali sempre più accoglienti), chiesa che magari è in grado di organizzare anche delle mega-conferenze sui più svariati argomenti lasciando sovente le cose come stavano.

Nel versetto 36 vediamo che Gesù “vedendo tutta quella gente ne ebbe compassione perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore”. Ma da chi era composta tutta quella folla? Da uomini, donne, bambini, vecchi, malati, infermi (disabili), curiosi, e non di rado c’erano anche degli scribi e dei farisei. La gente seguiva Gesù per i motivi più disparati. E’ ovvio che una folla tanto variegata aveva bisogni e necessità differenti. Questo spiega il perché Gesù a volte ha fatto dei discorsi solo istruttivi, altre volte ha spinto il suo uditorio a ravvedersi perché il regno dei cieli è vicino, mentre altre volte ha rimproverato o ha parlato duramente (agli scribi e ai farisei). Altre volte invece ha fatto miracoli o ha sfamato migliaia di persone (Matteo 14:13-21; 15:29-38). Insomma, di volta in volta il Signore si regolava (in base all’uditorio e ai suoi bisogni) come agire, cosa fare o dire, ma non è mai stato indifferente ai bisogni della gente.

Sedia a ruotelle

Al cospetto di tutta quella gente stanca, sfinita, somigliante a delle pecore (animale praticamente privo di ogni difesa e dal ridicolo belato), il Signore fece una realistica e tragica constatazione:
queste persone sono senza pastore (cioè sono privi di una guida, sono privi di una protezione, sono alla mercé di qualunque mal’intenzionato che può approfittare di loro in qualsiasi modo e in qualunque momento), e la storia insegna che ci sono stati dittatori (Rider), filosofi (Nitzche) ma anche leaders religiosi che hanno manipolato e rovinato intere generazioni.

Allora Egli si rivolge in maniera quasi confidenziale ai suoi discepoli, dicendo (v. 37): “la mèsse è grande, ma gli operai sono pochi”. In queste parole di Gesù non c’è sconforto ma un grande realismo. Infatti subito dopo diede la Sua soluzione a quella tragica situazione: “Pregate dunque il Signore della mèsse che spinga degli operai nella sua mèsse” (v. 38). Quindi la soluzione del Signore di fronte agli enormi bisogni di questa massa oceanica di gente da evangelizzare è la preghiera, preghiera da rivolgere al Padrone della mèsse affinché Egli susciti e invii altri operai nella sua mèsse.

Questo dovrebbe essere uno dei soggetti più costante e importante nelle riunioni di preghiera delle nostre chiese, ma è così? Un motivo per cui non farciamo regolarmente questa preghiera è perché forse abbiamo paura che il Signore possa chiamare proprio noi o qualcuno dei nostri cari nel campo missionario, lontano da noi? A questo punto vorrei che notassimo che nel capitolo 10 di Matteo il Signore Gesù riunisce i suoi discepoli, dà loro alcune disposizioni e istruzioni avvertendoli anche dei pericoli a cui andavano incontro e poi li manda in missione, una missione indubbiamente speciale, perciò li fornisce anche di “armi speciali”: “diede ai discepoli potere di cacciare gli spiriti immondi, di guarire qualunque malattia e qualunque infermità…andando, predicate e dite: il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, guarite i lebbrosi e cacciate i demoni” (Matteo 10:1, 7, 8).

Ora, i discepoli che ricevettero quel mandato da Gesù, portarono a compimento questa missione che Egli aveva affidato loro, sia nell’immediato che dopo la Sua ascensione al cielo. Infatti il libro degli Atti ci riporta alcuni episodi in cui quei discepoli (divenuti apostoli) andarono per il mondo predicando l’Evangelo e – nello stesso tempo – operando (con naturalezza) dei miracoli che Gesù faceva attraverso di loro (vedi Atti 9:32-43). Quindi: annuncio dell’Evangelo e opera (sociale) vanno di pari passo senza alcun problema, senza nessun compromesso!

Braille

Ora, venendo a noi oggi, sappiamo bene che il Signore vuole servirsi di noi affinché il Suo Evangelo sia predicato dappertutto, e anche oggi (come allora) ci sono folle sterminate di persone stanche e oppresse (depresse), con mille problemi e molto spesso col corpo e la mente devastato da malattie e infermità varie. E cosa facciamo noi per tutta questa gente dai più disparati bisogni? Parliamo loro del Signore? Benissimo! Gli annunciamo il ravvedimento e la conversione a Cristo? Molto bene! Ma per trovare degli ascoltatori attenti (soprattutto se fisicamente o mentalmente sofferenti) dobbiamo anche sintonizzarci (cioè parlare e agire) in modo da essere comprensibili e credibili.

Purtroppo oggi non siamo tanto comprensibili e non abbiamo una grande credibilità agli occhi del mondo dei non credenti perché non vogliamo correre il rischio di sporcarci le mani. Mi spiego meglio: noi abbiamo organizzato (in passato) campagne o riunioni evangelistiche con la speranza di vedere decine o centinaia di persone convertirsi a Cristo. A volte abbiamo visto dei risultati e altre volte non abbiamo visto alcun risultato.

Probabilmente questo è dipeso dal fatto che abbiamo operato in maniera asettica, senza sporcarci le mani. Probabilmente in queste campagne evangelistiche abbiamo puntato (forse inconsciamente), sulla salvezza di persone di un certo successo, di un certo livello, magari di giovani sani e belli, su studenti, su operai, su professionisti, e tutto ciò va anche bene, ma non dimentichiamo che c’è una larga fetta di umanità costituita da vecchi (halzaimer, parkinson), malati, disabili, ciechi, sordi, zoppi, emarginati, barboni, ecc….

Pensate che nel mondo esistono circa 650 milioni di persone disabili. Nella sola Italia si contano almeno 2.600.000 persone affette da disabilità, cioè il 4,5% della popolazione (calcolo per difetto). Sempre in Italia si contano circa 350.000 ciechi e 60.000 sordi. Molti dei nostri disabili (2.600.000) sono letteralmente reclusi in case di riposo, ospedali, immobilizzati a letto nelle proprie abitazioni, spesso dimenticati da tutti, dalle istituzioni pubbliche ma anche dai parenti (leggasi: figli), e cosa fanno dalla mattina alla sera queste persone per le quali Cristo ha dato la sua vita? Si spengono in una solitudine, in un’amarezza e in un rancore che li consuma come una candela – a meno che (i più ”fortunati’) non sono fuori di testa.

A questo punto però noi dobbiamo porci una domanda: noi cristiani evangelici cosa ne facciamo di tutta questa gente (vecchi, malati, disabili, emarginati) che per la società (materialista, consumistica e non cristiana) non rende anzi è solo un peso, un pesante e oneroso fardello che sarebbe meglio eliminare, sopprimere – magari con una sorta di eutanasia?

Sedia a rotelleQueste persone malate, emarginate, dimenticate, non hanno anch’essi diritto di essere apprezzati, confortati, amati, di udire l’Evangelo?

Dobbiamo avere (verso i disabili e gli emarginati in generale) lo stesso atteggiamento che i Galati ebbero verso l’Apostolo Paolo (Galati 4:14): “quella mia infermità corporale, che era per voi una prova, voi non la disprezzaste né vi fece ribrezzo; al contrario, mi accoglieste come un angelo di Dio, come Cristo Gesù stesso”.

Queste persone malate, emarginate, dimenticate, non hanno anch’essi diritto di essere apprezzati, confortati, amati, di udire l’Evangelo? Come far udire l’Evangelo a questa particolare e vasta massa di persone se non ci “sporchiamo le mani”, se non dedichiamo loro il nostro tempo? Magari andando regolarmente a visitare una persona emarginata trascorrendo del tempo con lui, facendogli qualche commissione, imbiancandogli una stanza, o riparandogli un rubinetto che perde. Come farglielo udire l’Evangelo se se non andiamo da loro, se non ci sporchiamo le mani, se non facciamo una sana immersione nel sociale, nel volontariato?

Tante associazioni di volontariato sono pronte ad accoglierci a braccia aperte, e ci porterebbero via poche ore alla settimana. Per un cristiano, impegnarsi nel sociale deve significare: “saper cogliere le opportunità che la vita ci offre quotidianamente, per mostrare a della povera gente l’operosità dell’amore di Cristo mentre si annuncia contemporaneamente l’Evangelo della grazia di Dio”!

Del resto, quest’atteggiamento è anche in linea col pensiero dell’Apostolo Paolo che disse di “condursi da saggi approfittando delle occasioni, perché i giorni sono malvagi” (Efesini 5:15-16). E questo povero mondo c’è ne offre tante di occasioni, di opportunità, sta a noi saperle cogliere per glorificare e onorare Colui che ci ha salvati e che è divenuto il nostro personale Signore e Salvatore!!!